Giorgio Panariello racconta a Domenica In l'infanzia difficile vissuta senza genitori e la tragica fine di suo fratello Franco. Un dramma contenuto in un libro dal titolo emblematico "Io sono mio fratello", presentato da Mara Venier in diretta. «Mio fratello non è morto per overdose, si è sentito male durante una cena e i suoi amici lo hanno lasciato sul lungomare di Viareggio come un vecchio materasso. È morto di ipotermia».
I PROBLEMI CON LA DROGA «Volevo raccontare la storia di un ragazzo che ha avuto sfortuna. Potevo essere io, ci sono stati momenti della vita in cui ho avuto la stessa disperazione e stavo cadendo nella trappola delle sostanze stupefacenti. Mi sono fermato in tempo, perché ho soggezione di certe cose», aggiunge il comico prima di spostare l'attenzione sulla sua infanzia. Panariello non ha mai conosciuto suo padre ed è cresciuto credendo di essere figlio dei nonni. Incontrava la mamma, «una donna giovane ed elegante», sono durante le feste.
L'INFANZIA Il fratello Franco viveva in collegio perché i nonni non potevano permettersi di allevare un altro bambino. Questa è stata la sua sfortuna. «Per me era "mio fratello ogni tanto". Non posso dire di aver avuto un'infanzia difficile, però qualcosa dentro mi è rimasto. Forse quello mi ha portato a fare il comico nella vita, volevo esorcizzare. Mia madre non mi ha mai insegnato ad amarla. Non conoscevo l'amore materno, per me era solo una signora che ci portava questi regali. I padri non sono mai usciti, sono rimasti nell'ombra anche quando sono diventato popolare», spiega l'artista.
L'AMORE PER IL FRATELLO 'Franchino' era una persona buona e sorridente, un poeta e un grande calciatore. Così lo ricorda Giorgio «Se non avesse incontrato l'eroina chissà cosa sarebbe diventato, giocava a pallone in maniera meravigliosa... Aveva solo fame d'amore e voglia di essere amato... Per anni mi sono sentito in colpa per essere nato un anno prima o per essere diventato popolare. Quando ho capito che lui era fiero di me ho capito che potevo vivere senza colpa».
LA MORTE Le persone che lo hanno abbandonato per strada e hanno chiamato dopo la polizia segnalandone la presenza sono finite sotto processo. «La condanna peggiore è quella psicologica», conclude Panariello sottolineando che nell'ultimo periodo della sua vita Franchino aveva trovato la forza di chiudere con la droga.
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